Fruttero e Lucentini, maestri di
editoria e antropologi dei vizi nazionali
“Io e Franco siamo come Rimbaud,
una sola anima di poeta, con questo piccolo problema tecnico di essere in due.”
Carlo Fruttero non abbandonava l’ironia nemmeno quando parlava - seriamente -
del sodalizio letterario che lo legava a Franco Lucentini: “Non c'è scrittore
che non vorrebbe essere al nostro posto: perché possiamo dirci esplicitamente
quello che gli altri sono costretti a pensare tra sé e sé.”
“La ditta” di F&L ha segnato
un’epoca dell’editoria italiana: i due soci sono stati scrittori di successo,
editorialisti di costume per quotidiani, collaboratori di riviste letterarie,
autori di radiodrammi e cronache satiriche, hanno condotto trasmissioni
televisive (con titoli naturalmente paradossali come “L’arte di non leggere”) e
hanno militato soprattutto a lungo all’interno di alcune grandi case editrici
italiane, come redattori, traduttori di Borges e Beckett, come editor, direttori
di collane (per un ventennio alla guida di Urania), coltivando anche generi
ritenuti un tempo “minori” come la fantascienza o la narrativa per ragazzi. Un
grande e originale “lavoro culturale” di cui si ritrovano tracce abbondanti nel
meridiano Opere di bottega, o nel
manuale involontario I ferri del mestiere
curato da Domenico Scarpa.
Come in ogni coppia affiatata le
diversità superavano di gran lunga i tratti comuni: “Se Lucentini farfugliava con voce da basso,
Fruttero parlava con il tipico falsetto piemontese” come ha scritto Pietro
Citati, “se Lucentini leggeva l'Iliade e la Bibbia e i Nibelunghi e il Don
Chisciotte, l'Eugenio Onegin e le saghe islandesi nel testo originale, Fruttero
li leggeva in traduzione: se Lucentini si era laureato con 110 e lode, Fruttero
non fece nemmeno un esame universitario.”
Quando passarono da Einaudi a
Mondadori Italo Calvino scrisse di Fruttero: “Uno dei nasi più fini e meno
indulgenti dell’editoria italiana, ora ahimè convertitosi, per scettico
snobismo, alla cultura di massa». Di chi fosse davvero lo snobismo è discutibile
ma sicuramente Fruttero e Lucentini dalla cultura di massa erano attratti,
perché curiosi, fuori dai canoni e lontani da ogni forma di elitarismo. È così in fondo che sono diventati studiosi
raffinati e implacabili dell’italianità, antropologi emeriti dei vizi del Paese
che hanno raccontato anzitutto con l’arma della satira, anticipando di fatto
comportamenti ed eccessi oggi arrivati a livelli di guardia a partire
dall’irrefrenabile impulso all’esibizione della stupidità che nell’era dei
social network è diventata ormai la regola più che l’eccezione. Perché, come
scrivevano profeticamente, “fra i tanti pudori che negli ultimi anni sono
venuti a cadere in favore di belle franchezze gluteo-mammarie, ciclosanitarie,
ascellari, intestinali, sessuali, psico-trivellanti e lagno-narcisistiche,
bisogna mettere anche il pudore che un tempo l'uomo trovava nei riguardi della
propria stupidità”. Alla scomparsa di questo pudore F&L dedicarono Il cretino in sintesi, trattato definitivo su una
delle figure dominanti della nostra società,
nonché quarto
volume antologico di una serie fortunata iniziata nel 1985 con La prevalenza del cretino, continuata poi con La manutenzione del sorriso e con Il ritorno del cretino.
La
raffinatezza letteraria di quella guida all’idiozia del genere umano va di pari
passo con la comicità irresistibile che diventa
tragedia attraverso una storia del costume implacabilmente mordace:
se Vico diceva che la madre dei cretini è sempre incinta, gli autori ne trovano
testimonianza continua nella storia antica e recente, parodiando l’accaduto o
limitandosi a ricreare dialoghi di inarrivabile scemenza ascoltati forse dalla
propizia postazione di una panchina torinese.
Inutile stupirsi
dell’attualità che buona parte del “trattato” continua ad avere. Basta leggersi il dizionario di politica riportato alla fine del libro: dove
dall’interim ai ribaltoni e all’antitrust nulla sembra cambiato nell'arte del governo e dell’obbrobriosa assurdità del
gergo che vi impera. In qualche impietoso ritratto di personaggi del passato si
può tranquillamente riconoscere qualche cretino contemporaneo assurto a
protagonista della vita pubblica, perché - come è scientificamente dimostrato -
la stupidità cresce man mano che si
sale nella gerarchia sociale, che si arriva a una poltrona di rilievo e ci si
occupa di questioni di vita o di morte in modo non poi molto differente da come
si parla del tempo e della fine delle mezze stagioni. Del resto, come si legge
in una chiosa della fatica enciclopedica, “la forza vincente del cretino sta nel fatto di non sapere di
essere tale, di non vedersi né mai dubitare di sé. Colpito dalle lance nostre o
dei pochi altri ostinati partecipanti alla giostra, non cadrà mai dal palo,
girerà su se stesso all'infinito svelando per un istante rotatorio il ghigno
del delirio.”
F&L
smontano metodicamente il castello dei luoghi comuni costruito meticolosamente
dalle folle di emuli di Bouvard e Pécuchet, gli “eroi” di Flaubert, picconano
il muro degli idoli intoccabili del politicamente corretto, mostrando come solo
l’ironia possa in fondo alleviare le ferite di un flagello che appare
inevitabile. Un metodo scettico che ritroviamo in
altre scorribande umoristiche dei due autori che hanno “celebrato” l’idiozia
nazionale come Il
significato dell'esistenza, romanzo d'appendice pubblicato sul Giornale nel 1974 e destinato a insinuare dubbi universali tra i lettori di ogni fede politica, religiosa
o calcistica. Ma cosa spinse F&L,
reduci allora dal grande successo editoriale de La donna della domenica, a mettersi sulle tracce della bistrattata
e negletta Verità? Tutto nacque, come ricorda nel prologo la coppia torinese, da una proposta di Indro Montanelli che li convocò e
propose loro un viaggio in Grecia e un reportage turistico-classicheggiante, destinato
ad apparire a puntate sulle colonne del neonato quotidiano.
Ai nostri bastò un rapido consulto per rilanciare la posta: sarebbero partiti, sì, ma con l'ambizione di svelare nientemeno che il mistero
dell'esistenza. «Trovatemelo e portatemelo qui»,
intimò il direttore. E così l'epica
impresa ebbe inizio. Non senza ostacoli naturalmente: il senso della vita è materia scottante. Tanto che nella vicenda entrano
in gioco un ente per la ricerca filosofica con diciottomila dipendenti, mentre la Fiat decide di mettere in busta paga
un'indennità metafisica e
i comunisti chiedono di sottrarre all'iniziativa privata l'esclusiva
della manovra speculativa
sul destino. Per assicurarsi l'alta posta in palio scendono in campo Cefis e Fanfani. Ma nemmeno l'offerta di un sostanzioso pacchetto d'azioni della «Standard Oil Company» riuscirà a distrarre l'incorruttibile coppia della caccia all'inconoscibile.
Segue così un lungo viaggio a bordo dell'Orient Express,
foriero d'incontri indimenticabili:
un pastore anglicano con un
irresistibile attrazione per i capistazione, il corrispondente filosofico del Times (noto per aver sventato un vergognoso traffico di monadi leibniziane) e una misteriosa quanto splendida signorina, originaria di Zandobbio, in provincia di Bergamo. A Micene ecco i primi indizi: «Vasti giacimenti di fato, di una densità da tagliarsi col coltello». Ma la
tappa decisiva è Delfi, l'antica
città dell'oracolo che l'era del turismo
di massa ha trasformato nel frattempo in un'invereconda fiera del vaticinio, popolata da maghi, chioschi del tarocco o dei fondi di
caffè e distributori automatici di sentenze profetiche. Ma l’accesso all'oracolo della Pizia è sbarrato per «Lavori in
corso». Riusciranno gli intrepidi inviati a portare a casa lo scoop del
secolo, l’intervista con la Sibilla, dea della saggezza?
Quel libro racconta gli italiani di ieri e di oggi più molto più di
corposi studi sociologici così come L’Italia sotto il tallone di Fruttero e
Lucentini, romanzo fantapolitico sulle gesta autobiografiche dei due
letterati che dalla Libia di Gheddafi marciano su Roma per prendere il potere
in una sorta di parodia del fascismo. Un monito “ilarotragico” per l’oggi
quanto la diagnosi della stupidità imperante. Perché, la storia insegna, non si
dà regime senza l’aiuto di una buona dose di cretini in circolazione.