(DA PRETEXT)
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La giovane Nola della Verità sul caso Harry Quebert è scomparsa misteriosamente trent’anni fa ma il suo cadavere è appena stato ritrovato nel giardino di casa dell'amante insieme al manoscritto di un romanzo diventato nel frattempo un libro acclamato da critica e pubblico. Il protagonista di uno dei casi editoriali di narrativa di maggior successo degli ultimi anni è un giovane scrittore americano che racconta il tentativo di scagionare un «collega», suo mentore di lettere e vita, dall'accusa di aver ucciso una ragazza minorenne di cui si è invaghito
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La giovane Nola della Verità sul caso Harry Quebert è scomparsa misteriosamente trent’anni fa ma il suo cadavere è appena stato ritrovato nel giardino di casa dell'amante insieme al manoscritto di un romanzo diventato nel frattempo un libro acclamato da critica e pubblico. Il protagonista di uno dei casi editoriali di narrativa di maggior successo degli ultimi anni è un giovane scrittore americano che racconta il tentativo di scagionare un «collega», suo mentore di lettere e vita, dall'accusa di aver ucciso una ragazza minorenne di cui si è invaghito
Il romanzo dello svizzero francese Joel Dicker (a breve
anche un film di Ron Howard) ha richiamato ad alcuni la celebre storia di Lolita di Vladimir Nabokov e ad altri
paralleli con la serie televisiva di culto Twin
Peaks. Ma qualche singolare analogia si può riscontrare anche nella vicenda
reale dello scrittore olandese Richard
Klinkhamer, morto all'inizio del 2016 e noto, più che per i suoi libri, per
aver assassinato la moglie Johanna, ritrovata un anno dopo la denuncia della
sua scomparsa nel giardino di casa della coppia. Un ritrovamento reso possibile
dai sospetti sorti su Klinkhamer dopo il rifiuto dell'ultimo manoscritto
dell'autore da parte del suo editore, motivato in parte proprio da macabri
riferimenti a un caso di uxoricidio.
Al di là dei possibili paralleli tra il caso letterario e
quello di cronaca non è difficile rintracciare un inquietante rapporto tra
scrittura e omicidio che ha origini lontane nel tempo e un suo illuminante
testo letterario «di riferimento»: L’assassinio come una delle belle arti di Thomas De Quincey in cui l’autore immagina di
arrivare fortunosamente in possesso del verbale di riunione di una sedicente
associazione d'intenditori d'assassini per l'incoraggiamento del delitto, «che
si professano curiosi in materia di omicidi, amatori e dilettanti nei vari tipi
di carneficina; e in breve appassionati di assassinii». Alla rivelazione di
ogni nuova atrocità del genere i membri del club si riuniscono e commentano il
delitto «come farebbero con un quadro, una statua o un'altra opera d'arte». E
il delitto diventa esemplare quando il suo autore è anche un raffinato uomo di
lettere, capace dì scrivere della morte sulla pagina, e di togliere la vita
nella realtà, con uguale eleganza.
Ma, lasciando al «gioco letterario»
l'idea dell’omicidio come forma d'arte, e tornando indietro nel tempo è facile
verificare come non manchino gli esempi di scrittori macchiatisi di orrendi
crimini al di fuori delle pagine delle opere che ci hanno lasciato. Basti
pensare a Ben Jonson (finì un autore in duello), a Benvenuto Cellini (noto per
la vita scellerata e la natura violenta) o a François Villon (accusato
dell'uccisione di un prete).
Nell'Italia del Cinquecento diede
buona prova di sé, come poeta e come teorico dell'agguato, Lorenzino de'
Medici, detto il Lorenzaccio, imparentato con il Magnifico e un po' trascurato
dalle antologie letterarie. Violento per carattere, il Lorenzaccio attentò con
successo alla vita del cugino Duca Alessandro, accoltellandolo in pieno petto.
Ne nacque un’apologia del tirannicidio, in cui Lorenzino difendeva il suo
gesto, che è tutt'oggi considerata come un capolavoro di oratoria
rinascimentale.
Nella Torino barocca, alla corte di
Carlo Emanuele di Savoia, il poeta Gaspare Murtola tentò di lavare nel sangue
il proprio astio nei confronti del più celebre Giambattista Marino, protetto di
corte. Lo affrontò sulla pubblica via e solo per un soffio non lo mandò per
sempre al Creatore.
Assai più celebre il caso della
tormentata relazione tra Arthur Rimbaud e Paul Verlaine che terminò
definitivamente quando nel 1873 quest'ultimo, ubriaco, sparò due colpi di
pistola a Rimbaud, che ne uscì fortunatamente solo parzialmente ferito. Da quel
giorno la folle deriva di Verlaine andò peggiorando, portando il «poeta
maledetto» a tentare di strangolare la madre.
Ci sono poi due casi che riguardano
dei sospetti assassini noti come maestri della detective story. Edgar Allan
Poe, com’è noto, scrisse Il
delitto di Marie Roget ispirandosi
a un fatto di cronaca nera a New York: quello di una donna violentata,
strangolata e gettata in un fiume, Mary Cecily Rogers che probabilmente
l’autore aveva conosciuto e addirittura frequentato poco prima del delitto. Il
racconto conteneva dei particolari che pochi potevano conoscere e proponeva una
soluzione del mistero che si avvicinava incredibilmente a quella che fu trovata
giudizialmente solo in seguito. «Ci sono poche persone, anche tra i pensatori
più cauti» scrisse Poe nel 1842 sulla rivista che ospitava il suo racconto,
«che non si sono fatti talvolta sorprendere da una vaga credenza nel
soprannaturale, da coincidenze così incredibili che, prendendole come tali, non
potevano essere elaborate dall’intelletto […]. Gli straordinari dettagli che
sto per rendere pubblici costituiscono il nodo essenziale di una serie di
coincidenze poco comprensibili».
Un altro campione del romanzo investigativo, il padre
letterario di Sherlock Holmes, Arthur Conan Doyle è stato accusato da un
ricercatore alcuni anni fa infatti di aver avvelenato un amico, Fletcher
Robinson, con il quale avrebbe scritto uno dei suoi più romanzi più fortunati: Il mastino di Baskerville. Il
movente potrebbe essere rintracciato dunque nella volontà di nascondere la vera
paternità dell’opera da parte di Conan Doyle o (forse anche) nel fatto che la
vittima era il marito dell’amante dello scrittore.
Lontano dal Vecchio continente la
ricerca potrebbe continuare. L'americano Dashiell Hammett, capofila della
letteratura «hard boiled», è stato accusato del coinvolgimento in un torbido
fatto di sangue avvenuto nei primi anni del secolo nel Maryland. Il celebre
autore del Falcone maltese (interpretato sugli schermi da Humphrey Bogart) è stato
dipinto dai suoi detrattori come un sicario prezzolato, pronto ad assassinare
il sindacalista rosso Frank Little, con l'unico intento di arrotondare il magro
stipendio passatogli dall'agenzia investigativa Pinkerton, presso la quale fu
temporaneamente impiegato. La prova dell'omicidio - come nel migliore dei libri
gialli - starebbe secondo i suoi accusatori in un libro dello stesso Hammett,
dal titolo Raccolto rosso.
Libro incentrato appunto sulle dure lotte sindacali del primo Novecento
americano e sugli squallidi affari di gangster feroci e individui senza
scrupoli.
Nel settembre del 1951 lo scrittore
eroinomane William Burroughs, amico di Allen Ginsberg e Jack Kerouac, posò un
boccale di birra sulla testa della moglie, con l'intenzione di emulare le gesta
dell'elvetico Guglielmo Tell. Prese la mira da alcuni metri e sbagliò. Solo di
pochi centimetri. Sufficienti per conficcarle in fronte un proiettile della sua
pistola automatica.
Un altro «caso eccellente» è quello
del filosofo francese Louis Althusser, tra i massimi divulgatori della dottrina
marxista in Europa e maestro di intellettuali come Michel Foucault, Jacques
Derrida e Regis Debray. All'età di 62 anni, in una mattina del 1980, il
professor Althusser si alzò dal letto e strangolò la moglie con il semplice
ausilio del lembo di una tenda, attorcigliato intorno al collo di lei. Non è
certo servito alla sua difesa ricordare che lo stesso omicida, per trent'anni
professore al1'École Normale di Parigi, aveva sempre insistito nelle sue
lezioni sull'impossibilità spinoziana di separare «psiche» e «soma».
Più contorto l’esempio del romanziere
tedesco Hans Fallada, perseguitato dal regime nazista per la mancata adesione
al Partito, tormentato dalla depressione e dipendente dalla morfina. Fece un
patto suicida con l’amico Hans Dietrich ma Fallada uccise Dietrich, mentre
l’amico assassinato fallì il bersaglio «condannandolo» alla vita.
Tra gli autori italiani con un
drammatico passato di sangue c'è l'ex terrorista rosso, ora latitante in
Brasile, Cesare Battisti, condannato in contumacia all'ergastolo per ben
quattro casi di omicidio (in parte commessi insieme ad alcuni complici). In Francia
dove è stato a lungo latitante si è dedicato alla scrittura di noir che hanno
riscontrato un certo successo di vendite. Ben diversi i casi di Massimo
Carlotto, accusato di omicidio, poi latitante e infine riconosciuto innocente
dai tribunali italiani, e di Pietro Valpreda, l'anarchico forse più noto
d'Italia, accusato di aver piazzato un ordigno esplosivo in piazza Fontana nel
'69 e poi scagionato con tutti gli imbarazzi del caso.
Naturalmente non mancano esempi del
caso inverso e cioè di killer divenuti scrittori in galera. Celebre,
soprattutto dopo essere stato portata sullo schermo in un lungometraggio con
Steve McQueen e Dustin Hoffman, la storia di Henri Charrière. Condannato nei
primi anni Trenta a Parigi per un omicidio (da lui mai confessato),
imprigionato nella colonia penale della Guyana francese, ed evaso e ripreso più
volte, Charrière raccontò la sua vita e la traumatica esperienza del carcere in
un libro fortunato: Papillon,
dalla forma del tatuaggio che portava sul petto.
Chiunque si sia interessato alle
vicende biografiche di scrittori più o meno celebri sa in ogni caso che la
propensione all'assassinio negli scrittori non supererà mai quella al suicidio.
Basti pensare ad alcuni celebri autori giapponesi (da Mishima a Kawabata) o,
per fare un solo esempio tra i molti possibili, a un grande della letteratura
americana come Ernest Hemingway, che finì i suoi giorni sparandosi un colpo di
fucile.
Si potrebbe ricordare che altre muse
hanno “ispirato” l'omicidio oltre a quella letteraria. La musica nel caso di
Antonio Salieri, accusato da un filone biografico in verità smentito da altri,
di aver avvelenato l'antagonista Wolfgang Amadeus Mozart per invidia
professionale. E 1'arte figurativa, nel caso del genio della pittura
Michelangelo Merisi, meglio conosciuto come il Caravaggio, vagabondo e violento
per temperamento e omicida forse per necessità. Tornando all'universo dei
libri, d'altro canto, non si può dimenticare la vicenda del pastore sassone
Johann Goerg Tinius. Folle bibliomane vissuto a cavallo tra Sette e Ottocento,
il pastore Tinius, ammazzò a sangue freddo più di una volta, con 1'unico
intento di procurarsi tomi rari e polverose raccolte assenti dalla sua
collezione. Un volgare assassino insomma oltreché erudito eccezionale e apprezzato
esegeta della Bibbia
Naturalmente per la stragrande
maggioranza degli autori di fiction criminali, detective story o storie
d'orrore del genere più vario, non c'è alcuna prova di sovrapposizione tra
storie di carta e reali vicende criminose, nessun legame provato tra arte
e sangue. Il contrario insomma di quanto sosteneva De Quincey per cui pratica e
teoria devono avanzare di pari passo perché «la gente comincia ad accorgersi
che nella composizione di un bell'assassinio v'è qualcosa di più che di due sciocchi
-1'uccisore e l'ucciso -, un coltello una borsa e un vicolo. Trama, signori,
armonia scenica, luce, ombra, poesia, sentimento, sono ora giudicati
indispensabili prove di questa specie».