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Il successo della Food History: da Michael Pollan a Adam Gopnik, da Jared Diamond a Mark Kurlansky, da Piero Camporesi a Massimo Montanari
Nel 1667 Olanda e Gran Bretagna conclusero un lungo conflitto con il trattato di Breda che stabilì, tra l’altro, lo scambio tra l’isola di Run nell’Oceano Pacifico, ceduta agli olandesi, e l’isola di Manhattan che passò agli inglesi. Il baratto, visto col senno di poi, fu decisamente favorevole agli inglesi, o meglio ai discendenti dei coloni britannici, ma all'epoca ad aver fatto un affare sembrarono soprattutto i Paesi Bassi, che lasciavano New Amsterdam, poco promettente insediamento alle foci dello Hudson, con il più esotico e ricco atollo vulcanico indonesiano da cui proveniva il seme della noce moscata. Come potevano immaginare che quella zona palustre sarebbe diventata la grande New York, città di riferimento dell’età contemporanea? La vicenda è stata raccontata nel dettaglio da Giles Milton nell'Isola della noce moscata, libro in cui l'autore ricostruisce sapientemente, tra avventure eroiche e bizzarre di esploratori e pirati, come nell'Europa tra Quattrocento e Seicento le spezie, rappresentarono una merce più preziosa dell'oro, determinando fondamentali scoperte geografiche e condizionando di fatto i destini del mondo.
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Il successo della Food History: da Michael Pollan a Adam Gopnik, da Jared Diamond a Mark Kurlansky, da Piero Camporesi a Massimo Montanari
Nel 1667 Olanda e Gran Bretagna conclusero un lungo conflitto con il trattato di Breda che stabilì, tra l’altro, lo scambio tra l’isola di Run nell’Oceano Pacifico, ceduta agli olandesi, e l’isola di Manhattan che passò agli inglesi. Il baratto, visto col senno di poi, fu decisamente favorevole agli inglesi, o meglio ai discendenti dei coloni britannici, ma all'epoca ad aver fatto un affare sembrarono soprattutto i Paesi Bassi, che lasciavano New Amsterdam, poco promettente insediamento alle foci dello Hudson, con il più esotico e ricco atollo vulcanico indonesiano da cui proveniva il seme della noce moscata. Come potevano immaginare che quella zona palustre sarebbe diventata la grande New York, città di riferimento dell’età contemporanea? La vicenda è stata raccontata nel dettaglio da Giles Milton nell'Isola della noce moscata, libro in cui l'autore ricostruisce sapientemente, tra avventure eroiche e bizzarre di esploratori e pirati, come nell'Europa tra Quattrocento e Seicento le spezie, rappresentarono una merce più preziosa dell'oro, determinando fondamentali scoperte geografiche e condizionando di fatto i destini del mondo.
Se ci è noto che la cioccolata, la bevanda degli dei, ha fatto
la sua prima comparsa in Europa circa cinquecento anni fa nella forma di semi
di cacao offerti dagli indigeni Maya a Cristoforo Colombo o che l’incendio del
Boston Tea party è stato all’origine della guerra d’indipendenza americana,
quanti conoscono l’influenza dello zafferano sulle sorti dell’uomo sul pianeta?
Pochi, probabilmente, almeno prima della pubblicazione di libri come Lo
zafferano di Pat Willard che rintraccia le origini di quella polvere magica
che prima di raggiungere le nostre tavole è stata raccolta nell’antica Persia,
è divenuta una spezia ricercata, ha allietato i bagni di Cleopatra e le
cerimonie dei Romani, arricchito i banchetti medioevali e infine caratterizzato
alcuni piatti tradizionali della cucina di mezzo mondo. Sono pochi anche coloro
che avrebbero osato affermare che il merluzzo ha cambiato il corso della storia
del mondo prima della pubblicazione del Merluzzo di Mark Kurlasnky dove si racconta l’autentica, quanto
misconosciuta vicenda di un pur illustre protagonista delle nostre tavole,
sotto la forma di baccalà o stoccafisso. Nell’era della gastronomia in cui
siamo immersi, dove il mercato librario è letteralmente trasformato dal
successo dei molti libri di ricette di chef più e meno noti come dal trionfo
della food fiction, i libri di
Milton, Willard e Kurlansky rientrano pienamente in un filone saggistico che
conferma la “profezia” di Ludwig Feuerbach secondo cui “l’uomo è ciò che
mangia” e che comprende la storia della patata di Larry Zuckermann ma anche saggi
ben precedenti del filologo come Piero Camporesi, studioso della Scienza in cucina di Pellegrino Artusi e
autore del Pane selvaggio o del Paese della fame, che hanno il pregio
di raccontare con competenza e buona capacità narrativa una storia solo
apparentemente laterale. Per condurci a scoprire, per esempio, che è stato
probabilmente proprio inseguendo i banchi di merluzzo che i vichinghi e i
baschi arrivarono alle coste nordamericane ben prima di Cristoforo Colombo.
Se è più
naturale affermare che il computer, la radio o qualche altra scoperta o
invenzione tecnologica hanno cambiato la storia dell’uomo, è assai meno
scontato ricostruire come e perché spezie come la lavanda o sostanze come il
sale abbiano influito sui grandi avvenimenti come sui cosiddetti cambiamenti di
lunga durata, e cioè i costumi e le abitudini dei popoli. Ecco perché, accanto
alla rispettabilissima storia dei grandi eventi, resta da scoprire
un’inesauribile miniera di microstorie e di sorprendenti comparse e
protagonisti minori che rappresentano un modo alternativo di rileggere il
passato in modo piacevole e poco convenzionale. In passato – come ha scritto
Carlo Ginzburg - si potevano accusare gli storici di voler conoscere soltanto
le "gesta dei re". Oggi, certo, non è più così. Sempre più essi si
volgono verso ciò che i loro predecessori avevano taciuto o semplicemente
ignorato. Radicalizzando in fondo gli insegnamenti di una scuola storica che ha
raggiunto vette importanti con il Montaillou di Emmanuel Le Roy Ladurie
o con La domenica di Bouvines di Georges Duby e superando gli stessi
dettami della cosiddetta storia della mentalità e della lunga durata inaugurata
dai maestri francesi delle Annales. Il
Formaggio e i vermi sono per esempio le parole del titolo di uno dei saggi
più affascinanti di Ginzburg ma anche le forme, gli oggetti e gli odori
dell’universo di Domenico Scandella, detto Menocchio attraverso cui l’autore
ricostruisce la storia misconosciuta di un mugnaio nato a Montereale in Friuli,
sposato con sette figli (e altri quattro morti), che il 28 settembre1583 fu
denunciato al Sant’Uffizio per aver
pronunciato parole "ereticali e empissime" su Cristo, e condannato al
rogo in occasione del giubileo del 1600.
Di Menocchio
è parente in qualche modo Monsieur Pinagot. Nato nel 1798, in un minuscolo
villaggio della Normandia, ai limiti della foresta, non si è mai allontanato da
quei luoghi per l’intera sua esistenza. Per guadagnarsi da vivere, fabbricava
zoccoli. Non sapeva né leggere né scrivere. Alla sua morte, nel 1876, è
silenziosamente scivolato nell’oblio, finché lo storico Alain Corbin non ne ha
trovato il nome negli archivi e ha cominciato un’inchiesta di grande interesse,
Il mondo ritrovato di Louis François Pinagot, dove ha cercato di capire
chi fosse e che cosa potesse pensare uno dei milioni di esseri umani che ci hanno
preceduto nel corso della storia senza lasciare tracce. E per ricostruire l’universo
e l’epoca del protagonista l’autore della Storia
sociale degli odori indaga anzitutto il formaggio e i vermi appunto o
meglio, in questo caso, il frumento e l’orzo coltivati oltre le foreste della
Perche, qualche maialino da latte, il sidro consumato in compagnia di altri
zoccolai alla fiera di Saint Martin, poche vacche e capre per il burro e il
formaggio, il pane che durante la crisi d’inizio Ottocento è sostituito dai
legumi, patate e latticini, perché la tavola di Pinagot e della sua famiglia
riassume per molti aspetti la sua esistenza dimenticata.
La cosiddetta Food history privilegiando l’indagine
economica, ambientale, antropologica e culturale rispetto a quella culinaria tradizionale,
è un campo di studio in continua crescita grazie anche all’interdisciplinarietà
che la caratterizza. Manca una definizione precisa, potremmo parlare forse di
cibologia, ma come tradurre efficacemente neologismi come foodscape, il contesto, o paesaggio alimentare di un’epoca? Dall’Oxford
Food Symposium del 1981 a oggi gli studi
sul cibo hanno trovato un numero crescente di cultori nei campi più disparati,
dalla sociologia alla filosofia, dalla scienza all’etica con corsi
universitari, associazioni e istituzioni nate e sviluppatesi dal Nord America
(il Master della Chatham University per esempio) all’Italia (l’Università di
scienze gastronomiche di Pollenzo, animata dal fondatore di Slow Food Carlo
Petrini e dove insegna anche Massimo Montanari, tra i fondatori della rivista
“Food & History” e del Master in Storia e cultura dell’alimentazione della
Facoltà di lettere di Bologna istituito in
collaborazione con le Università di Tours, Barcellona e Bruxelles, e autore di
opere come La fame e l’abbondanza.
Tra i fautori dei Food
Studies ci sono anche saggisti come Michael Pollan, autore del bestseller il
Dilemma dell'onnivoro, dove analizza, un piatto dopo l’altro, il tipico pranzo
americano mostrando cosa nascondono effettivamente le singole portate al di là
delle etichette riportate su cibi e prodotti o Tom Standage, autore di una Storia commestibile dell’umanità che
vede il cibo come una "forchetta" invisibile che ha costantemente
pungolato il corso evolutivo della civiltà umana.
Cosa c'entra per esempio la Rivoluzione francese con chef e ristoranti?
Molto secondo il saggista americano Adam Gopnik perché dopo il 1789 a Parigi
gran parte delle famiglie nobili erano fuggite da Parigi, quando non erano
finite in carcere o sotto i ferri del boia, lasciando deserti gli hôtel
particulier e senza lavoro la servitù e i raffinati cuochi domestici. Fu
probabilmente proprio quando questi ultimi iniziarono a proporre al pubblico i
loro servizi culinari che videro la luce i primi ristoranti
"stellati". È solo una delle molte vicende che Gopnik ricostruisce
col gusto del grande storico del costume e l'ironia del letterato raffinato nel
suo saggio su cibo e cucina nel mondo, con la sfida tra cabernet californiano e
bordeaux francese, la cucina giapponese, i fast food e molto altro.
Prendiamo il caso di un saggio che incrocia abilmente storia, biologia,
archeologia, genetica e antropologia come Armi, acciaio e malattie di Jared Diamond.
Per Bill Gates «è la
spiegazione più convincente del perché gli occidentali siano riusciti a
conquistare il resto del mondo, e non viceversa» e ad apprezzare il premio
Pulitzer non è stato isolato considerando il grande successo internazionale del
libro. La ragione essenziale della storica "superiorità" sta secondo
l'autore nella grande rivoluzione agricola dell'età neolitica e
nell’allevamento degli animali, rese possibile in Eurasia da una serie
favorevole di condizioni geografiche e climatiche che consentirono per la prima
volta la produzione di cibo in alternativa a caccia e raccolta, cambiando la
dieta dell'uomo e consentendo uno straordinario aumento della popolazione e uno
sviluppo tecnologico senza uguali in altre parti del mondo. Nel suo racconto
appare chiaro come la domesticazione della mandorla, dell'olivo o del melo, per
fare qualche esempio, hanno conseguenze più importanti di quanto non sia mai
stato considerato sui libri di storia. Tra le piante oggi coltivate, ma originariamente
velenose, ci sono infatti anche i fagioli, i cocomeri, le patate, le melanzane
e i cavoli: tutti casi in cui una qualche mutazione deve aver dato origine a
qualche esemplare commestibile, che i primi agricoltori fecero germogliare e
coltivarono in proprio.
Il cibo conta, insomma e una caso lampante è anche quello della
conquista del Nuovo Mondo da parte degli Europei nel corso del Sedicesimo
secolo dove hanno avuto un ruolo preponderante malattie portate da animali da
allevamento che entravano a pieno titolo nel sistema alimentare occidentale. La
maggioranza degli americani nativi morì infatti a causa dei microbi
d'importazione che non in combattimento. E a importarli furono principalmente
animali come buoi e maiali che gli spagnoli trasportarono massicciamente nei
nuovi territori per replicare il loro modello economico e produttivo nonché le
abitudini alimentari.
Ma l’alimentazione non spiega solo mutamenti millenari e svolte storiche
planetarie. È anche uno strumento utilissimo per indagare per esempio la storia
a noi più vicina e i suoi personaggi. La mezza pera offerta in
altri tempi e con rigorosa naturalezza alla parca mensa del presidente della Repubblica Luigi Einaudi o il
patto della crostata, apparentemente destinato all’epoca a suggellare una
tregua sulle riforme costituzionali tra D’Alema e Berlusconi, sono
probabilmente, oggetti ed eventi destinati ad imprimersi nell’immaginario
collettivo e nella stessa storia politica di un Paese assai più a lungo dei
frequenti quanto spesso ‘impercettibili’ cambiamenti governativi che ne hanno
cadenzato il lento trascorrere.
L’impressione
è infatti che quello del costume politico sia spesso un modo di raccontare
l’attualità e la storia recente del nostro Paese assai più penetrante e meno
frivolo di quanto non si pensi. E tra i cultori di maggior successo di questo
genere c’è senz’altro Filippo Ceccarelli, brillante notista e editorialista dei
maggiori quotidiani, perfido osservatore di vizi e consuetudini del palazzo e
dei suoi inquilini, siano essi i protagonisti più in vista della vita pubblica
o gli scherani, i portaborse e le figure nell’ombra. Con sapienza e invidiabile
memoria archivistica, senza mai eccedere nell’uso quasi automatico di metafore
gastronomiche, l’autore ha ricostruito brillantemente nello Stomaco della Repubblica la storia del secondo
dopoguerra, sbirciando nel piatto dei politici, illustrando gli usi culinari e
conviviali dell’intero arco costituzionale, dall’insipida minestra servita ai
membri della Consulta ai risotti dello chef preferito della sinistra, cucinati
in diretta televisiva con l’abile regia di Bruno Vespa; il quale non a caso,
nei suoi numerosi bestseller pone sempre
particolare attenzione alle mondanità culinarie della seconda Repubblica, ben
sapendo che il menù di una serata al ristorante tra alleati di uno schieramento
se non influisce direttamente sul risultato della stessa, resta comunque un
ingrediente fondamentale di ogni abile ricetta narrativa e vale spesso di più
del racconto di una strategica riunione nei palazzi del potere convocata appositamente
per cambiare le sorti della nazione. Noi mortali abbiamo in fondo in comune con
i potenti proprio il bisogno e il piacere di mangiare, e questo ce li avvicina
e ci aiuta a capirli o detestarli esattamente come, per fare un altro esempio,
l’esigenza e il desiderio del sesso, oggetto del precedente libro dello stesso
Ceccarelli, Il letto e il potere, che è
appunto una storia sessuale della Prima Repubblica. Inutile aggiungere che dai
tortelli delle feste dell’Unità al caffè di Sindona, passando per il
frigorifero di Bettino, cui solo il delfino Martelli pareva ammesso, lo stomaco
della Repubblica sembra immancabilmente tutt’altro che sazio. E non solo di
cibo, naturalmente.